arti. 1 esigenze sostitutive

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  1. sporting76
     
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    grazie Fabrizio!!!
     
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  2. fabrizio72
     
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    Autorità: Cassazione civile sez. lav.
    Data: 02 maggio 2011
    Numero: n. 9602
    INTESTAZIONE
    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    SEZIONE
    LAVORO
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
    Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente -
    Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere -
    Dott. DI CERBO Vincenzo - rel. Consigliere -
    Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
    Dott. MELIADO' Giuseppe - Consigliere -
    ha pronunciato la seguente:
    sentenza
    sul ricorso 5034/2007 proposto da:
    POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
    tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso
    lo studio dell'avvocato FIORILLO Luigi, che la rappresenta e difende
    unitamente all'avvocato TRIFIRO' SALVATORE, giusta delega in atti;
    - ricorrente -
    contro
    B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BELSIANA
    71, presso lo studio dell'avvocato DELL'ERBA GIUSEPPE, rappresentato
    e difeso dall'avvocato DE DONNO Oronzo, giusta delega in atti;
    - controricorrente -
    avverso la sentenza n. 151/2006 della CORTE D'APPELLO di MILANO,
    depositata il 13/02/2006 r.g.n. 668/05 + 1;
    udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
    13/01/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;
    udito l'Avvocato URSINO ANNA MARIA per delega FIORILLO LUIGI;
    udito l'Avvocato GALLEANO SERGIO per delega DE DONNO ORONZO;
    udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
    IANNELLI Domenico, che ha concluso per l'accoglimento del quarto
    motivo, rigetto degli altri motivi.

    (Torna su ) FATTO
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    La Corte d'appello di Milano, in riforma della sentenza di prime cure, ha, per quanto rileva ancora nel presente giudizio, dichiarato l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da Poste Italiane s.p.a. con B.S. e la conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fra le stesse parti a decorrere dal 8 maggio 2003.
    Come si evince dalla sentenza impugnata il lavoratore è stato assunto con contratto a termine protrattosi dal 2 maggio 2003 al 30 settembre 2003. Il contratto , stipulato ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, recava la seguente causale: ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell'Area Operativa e addetto al servizio di recapito presso il Polo Corrispondenza Lombardia assente con diritto alla conservazione del posto.
    La Corte territoriale, premesso che, a norma del citato D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, le ragioni di carattere sostitutivo devono essere specificate nel contratto e, in caso di contestazione, devono essere rigorosamente provate in giudizio, osservava che, nel caso di specie, le suddette ragioni erano state indicate in modo affatto generico e non consentivano di controllare nemmeno se il numero dei dipendenti assenti fosse almeno pari a quello del personale assunto in sostituzione. Aggiungeva che anche tenendo conto delle precisazioni fornite dalla difesa del lavoratore nel corso del giudizio non era possibile la sussistenza di un nesso tra l'assunzione de qua e le esigenze di carattere sostitutivo. Quanto alle conseguenze derivanti dalla ritenuta illegittimità del termine riteneva applicabile anche in tale ipotesi la conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato.
    Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi e illustrato da memoria; il lavoratore resiste con controricorso.
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    MOTIVI DELLA DECISIONE
    I motivi di ricorso possono essere sintetizzati come segue.
    Col primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, e vizio di contraddittoria e insufficiente motivazione. Deduce che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, la causale del contratto de quo non era affatto generica in quanto precisava in modo circostanziato la ragioni di carattere sostitutivo giustificative dell'apposizione del termine. In particolare erano state specificate: la tipologia del personale assente (Area operativa); le mansioni svolte da tale personale (addetti al servizio di recapito/smistamento e trasporto); l'ambito territoriale di riferimento (Polo Corrispondenza Lombardia); il periodo temporale di riferimento.
    Col secondo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ. nonchè vizio di motivazione. Deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto indimostrata la sussistenza, nel merito, delle allegate esigenze sostitutive dopo aver rigettate le istanze di ammissione della prova sul punto formulate da Poste Italiane s.p.a..
    Col terzo motivo Poste Italiane denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 5 e artt. 1418, 1419 e 1457 cod. civ., nonchè vizio di motivazione. Contesta la decisione impugnata nella parte in cui ha affermato che la ritenuta violazione della disposizione di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comportava la nullità del termine e la conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato. Deduce che tale conseguenza non è prevista dal D.Lgs. citato per la fattispecie in esame alfa quale dovrebbe applicarsi, nel caso di nullità del termine, la norma di cui all'art. 1419 cod. civ., in base alla quale la nullità della clausola contenente il termine comporta la nullità dell'intero contratto se risulta che i contraenti non l'avrebbero concluso senza quella parte dei suo contenuto che è colpita da nullità.
    Col quarto motivo Poste Italiane denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2094, 2099, 1206, 1207 e 1217 cod. civ. nonchè vizio di motivazione con riguardo alla statuizione concernente i profili economici conseguenti alla declaratoria di nullità del termine. Deduce in particolare la violazione del principio di corrispettività della prestazione.
    I primi due motivi, che devono essere considerati congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono fondati.
    Questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577 e Cass. 26 gennaio 2010 n. 1576) ha affermato il seguente principio di diritto che in questa sede deve essere pienamente ribadito: "In tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l'onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell'apposizione del termine e l'immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l'apposizione del termine deve considerarsi legittima se l'enunciazione dell'esigenza di sostituire lavoratori assenti - da sola insufficiente ad assolvere l'onere di specificazione delle ragioni stesse - risulti integrata dall'indicazione di elementi ulteriori (quali l'ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro ) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità.
    Nel caso in esame appare incongrua e priva di adeguata motivazione, in relazione ai principi sopra enunciati, la valutazione fatta dalla Corte di merito circa l'assenza di specificità della causale apposta al contratto di lavoro a termine in discussione. In particolare la Corte territoriale non ha tenuto conto del fatto che il concetto di specificità deve essere collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato.
    I primi due motivi di ricorso devono essere in definitiva accolti, con assorbimento del terzo e del quarto. La causa deve essere pertanto rimessa ad altro giudice, indicato in dispositivo, che provvederà sulla base dei sopra indicati principi di diritto oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.
    (Torna su ) P.Q.M.
    P.Q.M.
    La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri, cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione.
    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2011.
    Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2011

    N.B. depositata il 02 maggio 2011 ma decisa il 13 gennaio 2011, ovvero, prima che la dott.ssa la notte chirone (santa subito) sollevasse la nuova questione di legittimità costituzionale
     
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  3. renato733
     
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    Ragazzi cosa volete che vi dica,la cassazione oramai si sta pisciando tutte le corti di appello d'italia,ed inolte stanno buttando fuori un sacco di poveri lavoratori dichiarando legittimi questi contratti,ho mandato un paio di mail a galleano giusto per capire di che morte si deve morire.
     
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  4. sporting76
     
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    che schiffo......ma io mi domando se un contrato in primo grado e' illegittimo,perche in cassazione e leggiyimo???? qualcosa non quadra!!!!!brutti bastardi che giocano su di noi lavoratori!!!
     
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  5. fabrizio72
     
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    Autorità: Cassazione civile sez. lav.
    Data: 24 maggio 2011
    Numero: n. 11358
    INTESTAZIONE
    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    SEZIONE LAVORO
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
    Dott. LAMORGESE Antonio - rel. Presidente -
    Dott. STILE Paolo - Consigliere -
    Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere -
    Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere -
    Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
    ha pronunciato la seguente:
    sentenza
    sul ricorso proposto da:
    POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
    tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO
    9, presso lo studio TRIFIRO' & PARTNERS, rappresentata e
    difesa
    dall'avvocato TRIFIRO' SALVATORE, giusta delega in atti;
    - ricorrente -
    contro
    B.N., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE DON
    MINZONI 9, presso lo studio dell'avvocato AFELTRA ROBERTO, che la
    rappresenta e difende unitamente all'avvocato ZEZZA LUIGI, giusta
    delega in atti;
    - controricorrente -
    e contro
    BO.PI., P.D., S.S.;
    - intimati -
    e sul ricorso 15458-2007 proposto da:
    S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI
    GENTILE 8, presso lo studio dell'avvocato MARTORIELLO MASSIMO,
    rappresentato e difeso dall'avvocato COGO GIOVANNA, giusta delega in
    atti;
    - controricorrente e ricorrente incidentale -
    contro
    POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
    tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO
    9, presso lo studio TRIFIRO' & PARTNERS, rappresentata e
    difesa
    dall'avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in atti;
    - controricorrente al ricorso incidentale -
    avverso la sentenza n. 886/2006 della CORTE D'APPELLO di MILANO,
    depositata il 14/12/2006 R.G.N. 618/05 + altri;
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
    23/02/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;
    udito l'Avvocato ZUCCHINALI PAOLO per delega TRIFIRO' SALVATORE;
    udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
    MATERA Marcello che ha concluso per cessata materia per B.
    ricorso principale, eventuale inammissibilità in subordine rinvio in
    attesa Corte Costituzionale; rigetto ricorso incidentale, in
    subordine rinvio.

    (Torna su ) FATTO
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Con sentenza depositata il 14 dicembre 2006, la Corte di appello di Milano rigettava, dopo averle riunite, le impugnazioni della società Poste Italiane avverso le distinte decisioni di primo grado, che accogliendo, nei separati procedimenti instaurati dagli odierni intimati, le domande avanzate da ciascuno di essi, avevano dichiarato la nullità della clausola del termine apposta ai contratti di lavoro come rispettivamente stipulati e condannato la società a riammettere in servizio i lavoratori e a corrispondere loro le retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora.
    La Corte di merito, esclusa l'eccezione, riproposta dalla società, di risoluzione dei contratti di lavoro per mutuo consenso, evidenziava quanto ai contratti concernenti P.D. e P. B. che essi erano stati stipulati per l'una il 13 luglio 1998 e l'altra il 25 giugno 1998, cioè dopo la scadenza, da ultimo prorogata al 30 aprile 1998 con accordi sindacali, per l'esercizio da parte della società della facoltà di far ricorso alle assunzioni di lavoro a tempo per le esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione aziendale e di rimodulazione degli assetti occupazionali; quanto ai contratti riguardanti S.S. e B.N. e conclusi per entrambi il 20 giugno 2003 ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 che non erano state dimostrate le esigenze di sostituzione temporanea del personale assente.
    La cassazione della sentenza è stata chiesta da Poste Italiane, con ricorso basato su dodici motivi.
    Hanno resistito con distinti controricorsi gli intimati B. e S. e quest'ultimo, a sua volta, ha proposto ricorso incidentale con un motivo, contrastato dal controricorso di Poste Italiane.
    Memorie illustrative di S. e della società, la quale ha poi depositato un verbale di conciliazione intervenuta in sede sindacale.
    (Torna su ) DIRITTO
    MOTIVI DELLA DECISIONE
    Innanzitutto, il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., in quanto avverso la stessa sentenza.
    Dal verbale di conciliazione richiamato, rileva ancora preliminarmente il Collegio, risulta che la resistente N. B. e la società hanno raggiunto un accordo transattivo in ordine alla presente controversia, dandosi atto dell'intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che - in caso di fasi giudiziali ancora aperte - le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.
    Il suddetto accordo comporta la cessazione fra le indicati parti della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle stesse a proseguire il processo.
    Alla cessazione della materia del contendere consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto l'interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l'azione o l'impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l'interesse ad agire (Cass. sez. unite 29 novembre 2006 n. 25278).
    Per la definizione della lite, anche in ordine alle spese processuali, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente fra B.N. e la società le spese relative al presente giudizio.
    Passando all'esame del ricorso nei confronti degli altri intimati per i quali permane la controversia, con riferimento alle posizioni delle lavoratrici P. e Bo., la società ricorrente deduce: con primi due motivi, violazione dell'art. 1372 c.c., comma 1, e vizio di motivazione, addebitando al giudice di merito di avere erroneamente escluso la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, malgrado il considerevole lasso di tempo trascorso dall'interruzione dell'attività lavorativa, e di non avere spiegato come siffatto comportamento di inerzia, sicuro indice di disinteresse delle due lavoratrici al ripristino del rapporto, non ne potesse comportare l'automatico scioglimento; con il terzo, quarto, quinto e sesto motivo, violazione e falsa applicazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1 e 2 della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 23 dell'art. 8 ccnl 26 novembre 1994, degli accordi sindacali 25 settembre 1997, 18 gennaio 1998, 27 aprile 1998, 2 luglio 1998 e 18 gennaio 2001, in connessione con l'art. 1362 c.c. e segg. nonchè vizio di motivazione, per avere ritenuto che il potere riconosciuto ai contraenti collettivi di introdurre nuove ipotesi di assunzione di lavoratori a termine, in aggiunta a quelle previste dalla legge, fosse soggetto a limiti temporali, in contrasto con l'ampiezza della affermata delega alla contrattazione collettiva; con il settimo motivo, violazione e falsa applicazione ancora una volta della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 23 nonchè dell'art. 8 ccnl 26 novembre 1994 e dell'accordo sindacale 25 settembre 1997, in connessione con gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e con l'art. 2697 cod. civ., per avere affermato che ai fini della legittimità dell'apposizione del termine ai contratti di lavoro la società fosse tenuta ad allegare circostanze specifiche a dimostrazione del collegamento fra le esigenze di carattere generale dedotte nella causale dei contratti individuali e le singole assunzioni.
    I motivi dal primo al sesto sono infondati.
    Relativamente ai primi due, la giurisprudenza di questa Corte (v. fra le tante, le sentenze 17 dicembre 2004 n. 23554, 28 settembre 2007 n. 20390, 10 novembre 2008 n. 26935, 18 novembre 2010 n. 23319) ha più volte affermato il principio secondo cui nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell'illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione del contratto a termine (o dell'ultimo di essi, laddove ne siano succeduti altri), nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre fine, in via definitiva, ad ogni rapporto lavorativo, e la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.
    Qui il giudice di merito, richiamati taluni precedenti in materia elaborati da questa Corte regolatrice e ad essi adeguandosi, ha sottolineato di non ravvisare elementi da cui desumere che la P. e la Bo. avessero inteso rinunziare alla domanda di nullità della clausola o, comunque, porre fine al rapporto di lavoro di cui avevano richiesto la prosecuzione con la domanda giudiziale.
    Il medesimo giudice ha aggiunto che il ritardo con il quale le due lavoratrici avevano agito in giudizio nei confronti della società, odierna ricorrente, era giustificato dalla necessità di attendere il consolidamento della giurisprudenza sulla questione. Si tratta di valutazione di merito congrua, pienamente aderente all'orientamento richiamato, perciò incensurabile in sede di legittimità, con la conseguenza che i primi due motivi deve essere rigettati.
    Relativamente ai successivi quattro mezzi di annullamento del ricorso principale, la sentenza impugnata ha rimarcato che entrambi i contratti di lavoro a termine, per la P. dal 13 luglio 1998 e per la Bo. dal 25 giugno 1998, furono stipulati dalla società Poste Italiane in data successiva al 30 aprile 1998, secondo le previsioni dell'art. 8 ccnl 1994, come integrato dall'accordo aziendale 25 settembre 1997, per fare fronte alle esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell'Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell'attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.
    Tale considerazione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia, e con riguardo al sistema vigente anteriormente al ccnl 2001 e al D.Lgs. n. 368 del 2001, è sufficiente a sostenere l'impugnata decisione, in relazione all'affermata nullità del termine e senza che possa avere alcuna incidenza ai fini della decisione la censura di cui al settimo motivo, che, certamente fondata alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, può dare luogo solo alla correzione della motivazione, essendo il dispositivo della sentenza impugnata, per la parte concernente la P. e la Bo., conforme a diritto.
    Si è infatti precisato, sulla scia di Cass. sez. unite 2 marzo 2006 n. 4588, che "l'attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall'intento del legislatore di considerare l'esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l'unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all'autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063, oltre a Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle già previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378).
    In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.
    fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866).
    In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l'accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell'art. 8 del ccnl 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell'ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (cfr. Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608, e v. pure Cass. 16 novembre 2010 n. 23120, Cass. 28 novembre 2008 n. 28450, e le già citate Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378).
    I successivi motivi del ricorso principale, dall'ottavo al dodicesimo, riguardano il resistente S.S..
    In essi sono denunciate violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 dell'art. 12 disp. Gen., degli artt. 1419 e 2697 cod. civ., ed ancora 1206, 1207, 1217, 1219, 2094 stesso codice, della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., oltre a vizi di motivazione.
    Si assume in primo luogo la contraddizione in cui è incorsa la sentenza impugnata laddove da un lato ha affermato che l'esigenza posta a base dell'assunzione del S. era temporanea, poichè "per loro natura, le esigenze sostitutive sono intrinsecamente temporanee", e dall'altro lato che in un'azienda di grandi dimensioni, quale Poste Italiane, la necessità delle sostituzioni "si presenta, in una certa misura, durevole e continuativa", motivo per cui "i prospetti prodotti dalle Poste provano un elevato numero di assenze, ma non dimostrano l'esigenza di sostituzioni temporanee".
    In tal modo, però, ad avviso della società ricorrente, la sentenza impugnata ha finito con l'affermare che l'esigenza sostitutiva debba essere eccezionale e straordinaria, e travisando il dato letterale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 - ove invece è stabilito "è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" - individua un limite non previsto dalla norma. Si critica inoltre la sentenza impugnata, perchè nel ritenere la mancanza di prove in ordine alle esigenze sostitutive allegate dalla società ai fini della legittimità dell'assunzione a termine del resistente, ha errato nella valutazione dei documenti prodotti, in particolare dei prospetti delle presenze relativi allo specifico ufficio di destinazione del lavoratore, con l'indicazione dei nominativi dei dipendenti di ruolo assenti, le giornate di assenze di ciascuno di essi e la causa delle rispettive assenze, e non ha preso in esame i capitoli della prova orale articolati sulle assenze del personale del medesimo ufficio, indicate mese per mese. Si aggiunge poi che nella normativa dettata dal citato D.Lgs. n. 368 del 2001 manca una disposizione che sancisca la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro a termine instaurato in assenza dei relativi presupposti di legge, ed infine, in via subordinata, si addebita al giudice del merito di avere determinato il risarcimento spettante al Senile in violazione dei principi e delle norme di legge sulla costituzione in mora del debitore e sulla corrispettività della prestazione.
    Questi motivi afferenti alla posizione del S. sono fondati nei limiti di cui appresso.
    La Corte di merito, dopo aver accertato che il lavoratore era stato assunto con contratto del 20 giugno 2003, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato .... assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro nel periodo dal 16 giugno 2003 al 15 settembre 2003, ha poi evidenziato che nel contratto era pure specificata la destinazione del lavoratore, cioè presso l'ufficio di (OMISSIS), nell'ambito della regione Lombardia, per l'espletamento del servizio di recapito, ma ha concluso per l'illegittimità del termine apposto al contratto, avendo ritenuto che le ragioni addotte dall'azienda a giustificazione dell'assunzione del predetto lavoratore non avevano il carattere della temporaneità. Soltanto quelle che abbiano tale connotazione, ha precisato il medesimo giudice, integrano le esigenze sostitutive previste dalla norma, e non anche l'esigenza delle sostituzioni che, in un'azienda di grandi dimensioni si presenta, "in una certa misura, durevole e continuativa, tanto è vero che, viene programmata e gestita dalla società con personale stabile, calcolando il tasso fisiologico dell'assenteismo, in particolare nel settore dello smistamento e del recapito, dove le attività non possono subire ritardi".
    Ma, osserva innanzitutto il Collegio, la programmazione che l'azienda, ad avviso del giudice del merito, può fare nel tentativo di gestire, con personale stabilmente inquadrato, le sostituzioni dei dipendenti assenti per svariati motivi, non esclude la temporaneità della esigenza delle sostituzioni nelle sedi in cui l'azienda è articolata.
    Su tale carattere che devono avere le esigenze da esplicitare nel contratto di lavoro a termine, secondo la disciplina del D.Lgs. n. 368 del 2001, permane il contrasto in dottrina tra l'orientamento che propende per la necessità della temporaneità e l'altro indirizzo che invece lo nega. E sul punto, come è stato già sottolineato, l'accordo quadro, recepito nella direttiva comunitaria, di cui il D.Lgs. costituisce attuazione, all'art. 3 si limita a richiedere che il termine sia "determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico".
    Sempre su questa questione, in controversie tra lavoratori a tempo e la stessa società per analoghe fattispecie, la giurisprudenza di legittimità ha di recente affermato (v. Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279) che la necessaria specificazione delle ragioni oggettive del termine apposto al contratto di lavoro consiste nella "indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l'immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto", rilevando nel contempo che "tale specificazione può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem ad altri testi scritti accessibili alle parti" (nella specie accordi collettivi richiamati nel contratto stesso).
    Cass. 27 aprile 2010 n. 10033 ha quindi precisato che "l'apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l'onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l'immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell'ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell'ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare - con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità - la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell'assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto".
    In motivazione la sentenza, tra l'altro, ha rilevato che "in realtà la previsione di specifici presupposti economici e organizzativi e la necessità di una espressa motivazione in ordine alle ragioni che presiedono all'apposizione del termine resterebbero un mero flatus vocis ove il datore di lavoro potesse discrezionalmente determinare le cause di apposizione del termine, a prescindere da una specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata ad attuare".
    Tale giurisprudenza, che certamente ha respinto la tesi della ammissibilità di un termine "acausale", non sembra, però, che nel contempo abbia accolto la tesi rigida di una necessaria assoluta temporaneità intrinseca o "ontologica" della esigenza tecnica, produttiva o organizzativa, quanto piuttosto una concezione di temporaneità relativa sufficientemente oggettivata attraverso la specificazione, al fine della trasparenza e della verificabilità.
    Più in particolare per le ragioni sostitutive, va ricordato che, mentre la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 214 del 2009, ha affermato che, per tale profilo, il legislatore del 2001 non ha innovato la disciplina previgente della L. n. 230 del 1962 e che la specificazione delle ragioni sostitutive "implica necessariamente anche l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione", la Corte di Cassazione ha precisato che "l'onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell'apposizione del termine e l'immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l'apposizione del termine deve considerarsi legittima se l'enunciazione dell'esigenza di sostituire lavoratori assenti - da sola insufficiente ad assolvere l'onere di specificazione delle ragioni stesse - risulti integrata dall'indicazione di elementi ulteriori (quali l'ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità." (cfr. Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577 e v. pure la pronuncia n. 1576 pubblicata con la stessa data).
    La sentenza impugnata relativamente alle statuizioni che riguardano il S. ha deciso difformemente da tali principi, e perciò vanno accolti l'ottavo, il nono ed il decimo motivo del ricorso principale, sulla base del seguente principio di diritto: "In tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l'onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell'apposizione del termine e l'immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l'apposizione del termine deve considerarsi legittima se l'enunciazione dell'esigenza di sostituire lavoratori assenti - da sola insufficiente ad assolvere l'onere di specificazione delle ragioni stesse - risulti integrata dall'indicazione di elementi ulteriori (quali l'ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità". Restano assorbiti gli ultimi due motivi del medesimo ricorso (concernenti la conversione del rapporto di lavoro in quello a tempo indeterminato e le conseguenze economiche derivanti dall'affermata nullità della clausola di apposizione del termine, comprese anche le questioni relative all'applicabilità dello ius superveniens, costituito L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010, richiamata in memoria dalla società ricorrente), nonchè l'unico motivo del ricorso incidentale, che svolge censure sulla liquidazione delle spese del giudizio di appello.
    Infine, il ricorso principale è inammissibile nei confronti di B.N., e va rigettato nei confronti di P. e Bo..
    Cassata la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, la causa va rimessa per nuovo esame alla stessa Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che attenendosi al principio di diritto innanzi trascritto, accerterà la congruità del contratto a termine stipulato con il S. rispetto alla necessità di sostituire il personale nei giorni di assenza nel medesimo periodo, secondo la documentazione allegata dall'azienda.
    Il giudice di rinvio provvederà inoltre al regolamento delle spese del giudizio di cassazione relative al rapporto tra il S. e la società Poste Italiane, mentre sono compensate quelle tra la società e B.N., nulla disponendosi quanto a quelle nei riguardi della P. e della Bo., nessuna attività difensiva essendo stata svolta da costoro.
    (Torna su ) P.Q.M.
    P.Q.M.
    LA CORTE riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso principale nei confronti di B.N. e lo rigetta nei confronti della P. e della B., nulla disponendo per le spese del presente giudizio quanto a costoro e compensando quelle fra N. B. e la società; accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso di Poste Italiane nei confronti di S.S., assorbito l'incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.
    Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2011.
    Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2011

    Autorità: Cassazione civile sez. lav.
    Data: 24 maggio 2011
    Numero: n. 11357
    INTESTAZIONE
    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    SEZIONE
    LAVORO
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
    Dott. LAMORGESE Antonio - rel. Presidente -
    Dott. STILE Paolo - Consigliere -
    Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere -
    Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere -
    Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
    ha pronunciato la seguente:
    sentenza
    sul ricorso proposto da:
    POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
    tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso
    lo studio dell'avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende
    unitamente all'avvocato TRIFIRO' SALVATORE, giusta delega in atti;
    - ricorrente -
    contro
    A.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.
    BETTOLO 4, presso lo studio dell'avvocato BROCHIERO MAGRONE FABRIZIO,
    che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato PAGLIARELLO
    ANGELO GIOACCHINO MARIA, giusta delega in atti;
    - controricorrente -
    avverso la sentenza n. 280/2006 della CORTE D'APPELLO di MILANO,
    depositata il 05/04/2006 R.G.N. 1094/05;
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
    23/02/2011 dal Consigliere Dott. LAMORGESE Antonio;
    udito l'Avvocato FIORILLO LUIGI;
    udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
    MATERA Marcello che ha concluso per inammissibilità, in subordine
    rinvio in attesa Corte Costituzionale.

    (Torna su ) FATTO
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    In riforma della decisione di primo grado, la Corte di appello di Milano, con sentenza depositata il 5 aprile 2006, affermata la nullità della clausola del termine apposta al contratto di lavoro stipulato da A.P. con la società Poste Italiane, ha dichiarato la trasformazione del rapporto in quello di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ed ha condannato la società a riammettere in servizio il lavoratore e corrispondergli, a titolo di risarcimento danni, le retribuzioni maturate dalla richiesta del tentativo di conciliazione, detratto l'aliunde perceptum.
    La Corte di merito, pur avendo accertato che la causale del contratto a termine, stipulato in relazione al periodo dal 10 luglio al 30 settembre 2003 ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 era stata sufficientemente specificata nelle indicate ragioni di sostituzione del personale assente con diritto alla conservazione del posto, nell'ufficio di (OMISSIS), cui l' A. era stato destinato, ha però ritenuto indimostrato che il personale a tempo determinato avesse sostituito i lavoratori temporaneamente assenti con diritto alla conservazione del posto. Non vi è la possibilità, ha sottolineato il predetto giudice, "di distinguere i problemi contingenti delle assenze dai problemi strutturali di carenza del personale che potrebbero eventualmente giustificare l'assunzione di lavoratori a termine per esigenze diverse da quelle sostitutive, in presenza di eventi specifici".
    La cassazione della sentenza è stata chiesta da Poste Italiane, con ricorso basato su tre motivi, cui l'intimato ha resistito con controricorso.
    La società ha poi depositato memoria illustrativa.
    (Torna su ) DIRITTO
    MOTIVI DELLA DECISIONE
    Preliminarmente, deve essere esaminata, in quanto pregiudiziale, la questione sollevata dal resistente di inammissibilità del ricorso, sotto il profilo della inosservanza del termine c.d. lungo d'impugnazione, dato che la notificazione del ricorso era avvenuta con consegna al procuratore di esso intimato nominato nel giudizio di merito, in data 10 aprile 2007, mentre la sentenza di appello era stata pubblicata il 5 aprile 2006, ed a nulla rileva che il ricorso fosse stato depositato presso gli ufficiali giudiziari il 5 aprile 2007.
    L'eccezione è manifestamente infondata. Accertato che la consegna del ricorso per cassazione da notificare alla controparte è avvenuta entro l'anno dalla pubblicazione della sentenza, come ammette lo stesso resistente nel controricorso, si deve osservare che in base al principio della scissione fra i momenti di perfezionamento della notificazione per il notificante e per il destinatario, affermatosi dopo la decisione della Corte costituzionale n. 477 del 2002, la notificazione si perfeziona nei confronti del notificante al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, con la conseguenza che essendo detta consegna avvenuta tempestivamente nel termine stabilito dall'art. 327 cod. proc. civ., nella formulazione ratione temporis qui applicabile, deve escludersi la decadenza correlata all'inosservanza del termine perentorio entro il quale la notifica va effettuata, e ciò anche nell'ipotesi, quale appunto verificatasi nella specie, in cui l'atto sia stato tempestivamente consegnato all'ufficiale giudiziario per la notifica, ma questa non sia stata effettuata per mancato completamento della procedura notificatoria nella fase sottratta al potere d'impulso della parte (v. fra le numerose altre Cass. 1 febbraio 2011 n. 2320, Cass. 10 maggio 2007 n. 10693).
    Passando all'esame del ricorso, il primo motivo denuncia violazione ed erronea applicazione dell'art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè vizio di motivazione. Erroneamente, si assume in ricorso, il giudice del merito ha ritenuto che la società non avesse dimostrato l'esistenza delle allegate esigenze sostitutive, poichè dalla documentazione prodotta dalla società e non contestata, risulta che il personale assente, superiore a quello assunto a termine, era stato sostituito da quest'ultimo. Nei documenti allegati, che la società ha qui trascritti, erano state riportate sia le assenze sia le presenze del personale dell'unità di applicazione del dipendente, suddivise per le varie causali, per ciascun mese del periodo di lavoro dell'odierno intimato e attraverso quei documenti era stato accertato che i lavoratori assunti a tempo determinato in forza in quel periodo erano stati sempre in numero di gran lunga inferiore dei lavoratori assenti, come peraltro ammesso dalla stessa sentenza impugnata; la quale ha considerato in modo carente le indicate risultanze e non ha esplicitato le ragioni del convincimento circa la insussistenza delle esigenze sostitutive che aveva indotto l'azienda a far ricorso all'assunzione a termine dell' A..
    Il motivo è fondato.
    Con riferimento ad analoghe fattispecie, in controversie tra lavoratori a tempo e la stessa società, questa Corte ha più volte affermato che in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 l'onere di specificazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che legittimano l'apposizione del termine, è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa di detta clausola e la sua immodificabilità nel corso del rapporto, e si è sottolineato (v. sentenze 26 gennaio 2010 n. 1577 e 16 novembre 2010 n. 23119) che "nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l'apposizione del termine deve considerarsi legittima se l'enunciazione dell'esigenza di sostituire lavoratori assenti - da sola insufficiente ad assolvere l'onere di specificazione delle ragioni stesse -risulti integrata dall'indicazione di elementi ulteriori (quali l'ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro ) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità".
    Qui, non si discute dell'adempimento, da parte dell'azienda, dell'onere di specificazione delle ragioni sostitutive che avevano determinato l'assunzione a termine dell' A. nell'ufficio di (OMISSIS) cui lo stesso era stato assegnato, adempimento che come accertato dalla sentenza impugnata era stato assolto dalla datrice di lavoro . Tuttavia, il giudice del merito ha poi evidenziato che "a fronte delle puntuali allegazioni del lavoratore circa la sua assegnazione a posti vacanti di titolare, il continuo avvicendarsi su tali posti di più lavoratori a termine, le croniche carenze di organico del settore recapito, la società ha precisato, sulla base di documenti (registro presenze ed elenchi nominativi assenze), che le sostituzioni sono avvenute, in generale, per assenze per ferie, malattia, maternità, infortunio; con riferimento al numero dei lavoratori addetti all'area ATP, ha indicato il numero dei lavoratori a termine da ottobre, ma nulla ha precisato per il periodo appena precedente l'assunzione di A., nè circa la copertura di posti vacanti di titolare con successivi contratti a termine".
    Orbene, le conclusioni cui il giudice di appello è pervenuto nel ritenere, da un lato, la mancanza di prova in ordine all'effettivo impiego del personale assunto a termine nelle sostituzioni dei lavoratori temporaneamente assenti con diritto alla conservazione del poste, e, dall'altro lato, l'impossibilità di distinguere le situazioni contingenti di assenze dei dipendenti dai problemi strutturali di carenza del personale che avrebbero potuto giustificare l'assunzione di lavoratori a tempo per esigenze diverse da quelle sostitutive, non tengono conto, e comunque non considerano in maniera adeguata, gli elementi emergenti dai suddetti documenti e richiamati in sentenza, cioè le presenze riportate nel relativo registro e le assenze di cui agli elenchi nominativi, le sostituzioni indicate per assenze dovute a ferie, malattia, maternità, infortunio, esame cui il medesimo giudice avrebbe dovuto procedere proprio per accertare il rispetto delle ragioni sostitutive indicate nel contratto individuale.
    Accolto questo motivo, restano assorbiti gli altri due con i quali la società denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 12 disp. Gen., dell'art. 1419 cod. civ. e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e ancora dell'art. 115 cod. proc. civ. (secondo motivo), e violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1219, 2094, 2099 e 2697 cod. civ., della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 (terzo motivo), e deduce rispettivamente che l'affermata illegittimità dell'apposizione del termine al contratto di lavoro non comporta come conseguenza la conversione del rapporto in quello a tempo indeterminato, e che manca la prova del danno subito dal lavoratore e non era stato individuato quale l'atto di costituzione in mora della società, non ravvisabile nel ricorso introduttivo del giudizio.
    Restano pure assorbite le questioni relative all'applicabilità dello ius superveniens, costituito L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010, richiamata in memoria dalla società ricorrente.
    La sentenza va dunque cassata con rinvio alla stessa Corte di appello, in diversa composizione, la quale procederà a nuovo esame della controversia per verificare se l'azienda, in base alla documentazione allegata, ha rispettato le ragioni sostitutive indicate nel contratto individuale stipulato con il resistente, e provvederà poi al regolamento delle spese del presente giudizio.
    (Torna su ) P.Q.M.
    P.Q.M.
    LA CORTE accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.
    Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2011.
    Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2011
     
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  6. renato733
     
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    ci risiamo cazzo!!!!!
     
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  7. sporting76
     
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    ma che sentenza e' questa? nuova?
     
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  8. renato733
     
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    no l'avevo già postata io ,l'avevo preso da leggeegiustizia.it,solo che mi sà tranto che in quel sito non han capito ancora un cazzo dove vuole arrivare vla cassazione,niente ragazzi solo la consulta può mettere fine a questo stillicidio,a pensare che ste persone che stanno praticamente perdendo in cassazione con art1 ,sono andate avanti con la sicurezza di vincere data dai rispettivi legali,adesso che vadano a spiegarglielo a sti poveracci che cazzzo sta facendo la cassazioen pur di salvare poste.Quasi non basta lavorare su zone scoperte se ne escono con la solita manfrina ,quasi volessero giustificarle tutte le assunzioni con art 1 ,certo che sono proprio dei bastardi dentro questi signori....Chirone e Consulta prendete in mano la situazioen e spazzate via tutti,servono davvero dei supereroi a sto punto

    www.studiogalleano.it/CA_MILANO_284-2005_MASCOLO.pdf


    eppure in questa sentenza estrapolato dallo studio galleano,il Mamoli ha vinto e gli altri due no,insomma bisogna davvero aver lavorato in zone dove il perosnale è carente in quel dato periodo.
     
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  9. sporting76
     
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    mah....speriamo che la consulta si esprima il prima possibile!!!
     
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  10. renato733
     
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    facendo due calcoli entro fine anno,il problema è un 'altro,sino ad ora non mi risluta un vincitore con esigenze sostitutive in cassazione potrà mai la consulta ribalatre il tutto dichiarando incostituzionale l'art1 se prima non lo ha fatto?speriamo solo che non facciano un'altra sentenza di parte e che chiarisca finalmente il discorso delle sostituzioni,perchè se dovesse rimanere così tutto come è adesso ,davvero in pochi riusciranno a spuntarla e soprattutto si avvia nel mondo del lavoro un capitolo di vero e proprio precariato e con i lavoratori trattati davvero come schiavi ...
     
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  11. sporting76
     
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    hai ragione renato......e' un vero casino!!!!
     
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  12. labicana
     
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    CITAZIONE (renato733 @ 7/6/2011, 15:43) 
    www.studiogalleano.it/CA_MILANO_284-2005_MASCOLO.pdf


    eppure in questa sentenza estrapolato dallo studio galleano,il Mamoli ha vinto e gli altri due no,insomma bisogna davvero aver lavorato in zone dove il perosnale è carente in quel dato periodo.

    renato, ma questa e' una sent d'appello e non di cassazione !
     
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  13. renato733
     
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    ragazzi niente di fatto ,ancora pareggio(per ora)senza istruttoria dove cazzo vanno e comunque per il collegatop lavoro rinviato giusto per cambiare giusto un anno,18 giugno,vergogna assoluta dello stato italiano....avremmo firmato anche per 2,5 mensilità ma non voleva applicare il collegato ,allora abbiam chiesto di sentenziare senza arreetrati,ci ha detto,abbiamo una norma da verificare!!!ragazzi pazzesco ,mia moglie sta andando quasi per la pensione,ma sappiate che non ciarrendiamo,mai e poi mai e èer neeunissimo motivo.
     
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  14. sporting76
     
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    bravo renato mai arrendersi...dobbiamo lottare sempre fino alla fine contro tutti!!!!
     
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  15. fabrizio72
     
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    un soffio di speranza!!!!!

    Autorità: Cassazione civile sez. lav.
    Data: 11 luglio 2011
    Numero: n. 15148
    INTESTAZIONE
    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    SEZIONE
    LAVORO
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
    Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente -
    Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere -
    Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
    Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere -
    Dott. BALESTRIERI Federico - rel. Consigliere -
    ha pronunciato la seguente:
    sentenza
    sul ricorso 17181-2007 proposto da:
    POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
    tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso
    lo studio dell'avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa
    dall'Avvocato VELLA GIUSEPPE, giusta delega in atti;
    - ricorrente -
    contro
    C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195,
    presso lo studio dell'avvocato VACIRCA SERGIO, che lo rappresenta e
    difende unitamente all'avvocato LALLI CLAUDIO, giusta delega in atti;
    - controricorrente -
    avverso la sentenza n. 1113/2006 della CORTE D'APPELLO di TORINO,
    depositata il 14/06/2006 R.G.N. 1862/05;
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
    19/05/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI ;
    udito l'Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega VELLA GIUSEPPE;
    udito l'Avvocato VACIRCA SERGIO;
    udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
    CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

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    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    La Corte d'appello di Torino, con sentenza depositata il 14 giugno 2006, ha ritenuto nulla, per genericità della causale, l'apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato tra la società Poste Italiane e C.D. dal 2 gennaio al 31 marzo 2003 (per "ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell'area operativa e addetto al servizio di recapito, smistamento e trasporto presso il Polo Corrispondenza Piemonte Val d'Aosta assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro nel periodo di cui al contratto ") e per difetto di prova circa le specifiche esigenze dell'ufficio di destinazione del lavoratore. La corte territoriale accoglieva solo in parte il gravame della società Poste, riducendo la condanna al pagamento delle retribuzioni, contenuta nella sentenza del Tribunale di Biella, dalla notifica del ricorso introduttivo.
    Propone ricorso per cassazione la società Poste, affidato a quattro motivi. Resiste il C. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
    (Torna su ) DIRITTO
    MOTIVI DELLA DECISIONE
    1. - Con il primo motivo la società Poste denuncia la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 115, 414, 420 e 437 c.p.c.; della L. n. 230 del 1962, art. 3 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando in particolare che la corte territoriale aveva erroneamente ritenuto generica la causale dell'assunzione in questione senza una specifica doglianza del C. al riguardo.
    2. - Con il secondo motivo la società Poste denuncia la violazione del D.Lgs n. 368 del 2001, art. 1 nonchè dell'art. 1362 e segg.
    c.c., ed inoltre omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando nuovamente l'erroneità della sentenza impugnata laddove aveva ritenuto la causale di assunzione de qua generica in base alla prima delle norme richiamate.
    3. - Con il terzo motivo la società Poste denuncia la violazione dell'art. 2697 c.c., ed inoltre omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando che non gravava su di lei l'onere di provare la specificità e la sussistenza della causale di assunzione.
    4. - Con il quarto motivo la società lamenta la violazione dell'art. 12 preleggi, nonchè dell'art. 1419 c.c., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 115 c.p.c., per aver la Corte Territoriale ritenuto che anche in base alla disciplina di cui al D.Lgs n. 368 del 2001, l'eventuale nullità della clausola comportasse la sola caducazione di essa e non dell'intero contratto , affermando comunque un principio, quello della conversione del contratto , contenuto nella ormai abrogata L. n. 230 del 1962, ma non più nel Decreto n. 368 del 2001. Ad illustrazione dei vari motivi formulava i prescritti quesiti di diritto.
    5.- I motivi, stante la loro connessione, possono essere congiuntamente trattati e risultano infondati.
    Deve premettersi che questa Corte si è più volte pronunciata in materia affermando che: a) il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l'apposizione del termine un'ipotesi derogatoria, pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l'apposizione del termine "per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo". Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell'interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all'illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l'invalidità parziale relativa alla sola clausola e l'instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (per tutte, Cass. 21 maggio 2008 n. 12985; nello stesso senso la Corte Cost. con la sentenza 14 luglio 2009 n. 214); b) L'apposizione di un termine al contratto di lavoro , consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l'onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l'immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro , nell'ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato , si da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell'ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa (per tutte, Cass. 27 aprile 2010 n. 10033);
    c) in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, la Corte Cost. (sentenza n. 214 del 2009 ed ordinanze n. 65 del 2010 e n. 325 del 2009) e questa Corte hanno affermato che l'onere di specificazione delle causali contenuto nel D.Lgs. n. 368, art. 1 è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell'apposizione del termine e l'immodificabilità della stessa nel corso del rapporto.
    Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l'apposizione del termine deve considerarsi legittima se l'enunciazione dell'esigenza di sostituire lavoratori assenti - da sola insufficiente ad assolvere l'onere di specificazione delle ragioni stesse - risulti integrata dall'indicazione di elementi ulteriori (quali l'ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro ) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (Cass. 24 maggio 2011 n. 11358, Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577).
    L'onere della prova è evidentemente a carico della datrice di lavoro (Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279), che nel caso in esame nulla di specifico ha dedotto al riguardo.
    Nè risulta fondata la dedotta violazione delle norme processuali indicate nel primo motivo di ricorso, non avendo la ricorrente riprodotto od allegati gli atti difensivi del giudizio di merito (in contrasto col principio dell'autosufficienza), da cui possa evincersi la denunciata violazione. Risulta peraltro dalla stessa lettura dell'odierno ricorso che il C. denunciò tempestivamente la genericità della causale di assunzione.
    6. - Il ricorso va quindi respinto, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.
    Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l'applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.
    La richiesta della società è contrastata, sotto vari profili, dalla difesa dell'intimata.
    Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest'ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).
    Tale condizione non sussiste nella fattispecie.
    Il ricorso va pertanto respinto.
    Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
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    P.Q.M.
    La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 12,00, oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..
    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2011.
    Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011
     
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